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Voci da Naturandia - Itinerario n. 11
Castiglione Olona

 

 

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Itinerario n. 11 - Parcheggio Sede Arcieri Castiglione Olona – Gornate Superiore – Caronno Corbellaro – parcheggio sede Arcieri Castiglione Olona

Quella che visiteremo, per me che amo i torrenti, è la più bella valletta nella Valle Olona, la Valle Mornaga (toponimo documentato dal XVIII secolo, quando era indicato nella forma "Val Morgnana"). In realtà, tre valli nella Valle perché qui si incontrano le acque di tre torrenti provenienti dalle risorgive nel pianalto: del torrente Mornaga, che alimenta il lavatoio di Gornate Superiore e da il nome alla valle; del torrente Bulgarella che solca la Valle omonima (dopo aver inciso una delle più belle vallette selvagge ch'io abbia mai esplorato) e quelle del torrente Marnetta (proveniente dal lavatoio di Caronno Corbellaro) che solca una profonda forra con affioramenti di gonfolite.

Castiglione Olona è indicata già nel XVI sec. come località ricca di acque discendenti dai colli e di abbondanti sorgive del posto: gli occhi di Castiglione, un nome che mi ha sempre incuriosito. Gli occhi di Castiglione "Occi de Castiglione"- Il signor Giovanni Meneguzzo di Castiglione Olona, grande appassionato di modellismo, toponomastica e soprattutto amante del territorio, me ne ha svelato il mistero, precisando che era l'unica zona umida in Castiglione.

Qui, località Lischée, sgorgavano le acque di numerose risorgive che allagavano l'area e la zona era ricca di ontani (alberi tipici delle zone in cui abbonda l'acqua) ontani neri che i ragazzi, vedendone diventare rosso-arancio i rami tagliati per gioco, chiamavano "sanguinelle". (Così risulta da una cartolina dell'epoca (da me fotografata), proprietà Giovanni Meneguzzo, Castiglione O. Dal 1571 al 1574 fu concessa licenza di poter condurre al fiume queste acque, per aumentarne la capacità energetica o per l'irrigazione dei prati. Luigi Carnelli, Il fiume Olona Le acque La storia i Mulini.

Queste risorgive non sono più visibili dal 1995, ma il plastico realizzato dal signor Giovanni Meneguzzo ne ricostruisce la presenza. E da molti anni risalire i torrenti e percorrere i sentieri di questa zona mi entusiasma, per l'amore che nutro verso l'acqua e per la vegetazione che grazie ad essa cresce così rigogliosa.

C'è acqua che sorge e sgorga ovunque, forse così abbondante in superficie per l'impenetrabile strato di gonfolite e depositi su cui il pianalto poggia. Nell'accurata mappa del Signor Meneguzzo, i tracciati in blu dei torrenti. L'itinerario che suggerisco parte dal parcheggio dove c'è la sede degli Arcieri, vicino ad edifici che credo appartengano alla Mazzucchelli 1849. La Società fu fondata nel 1849 per iniziativa della famiglia Mazzucchelli che, generazione dopo generazione e a distanza di oltre 160 anni, continua a testimoniare la sua vocazione imprenditoriale e ad impegnarsi nella ricerca e nell'innovazione.

I materiali naturali utilizzati all'inizio dell'attività, hanno lasciato progressivamente il posto alla celluloide, la prima "materia termoplastica", ed in seguito all'acetato di cellulosa. Ancora oggi l'acetato di cellulosa, polimero di origine vegetale sintetizzato dal cotone e dalla polpa di legno, è la materia prima utilizzata da Mazzucchelli 1849, che ben sfruttandone l'estrema duttilità riesce a creare effetti estetici molto raffinati e cromatismi unici.

Anno dopo anno la sfida alla diversificazione ha portato Mazzucchelli 1849 a distinguersi come una delle Società più innovative nel settore plastico.

Una colonia di fallopia japonica pianta erbacea molto invadente e quasi impossibile da estirpare), diventata vasta in pochissimi anni, costeggia la stradina che ci porta all'inizio della passeggiata. Si percorre il ponte sul torrente Mornaga, che a monte ha già ricevuto le acque del torrente Bulgarella che scorre nella valle omonima, del torrente Marnetta che scorre nella profonda forra e del torrente Scerissa che forma a sud la valletta omonima proveniente da Caronno Corbellaro (e che noi costeggeremo al termine dell'itinerario).

Dopo pochi metri, una vecchia carrereccia in ciottoli sale a sinistra verso Gornate Superiore, costeggiata da moltissimi alberi di orniello, aceri, robinie, noccioli e altri arbusti, col sottobosco tappezzato in questa stagione da pervinca, anemone bianco, consolida e felci varie felci. Si è già aperto il giovane ciuffo di una barba di capra. Pensate che molti anni fa, vista la drastica diminuzione, fu emessa un'ordinanza per vietarne la raccolta quando le giovani foglie, rossicce ed amarissime, erano ancora chiuse e spuntavano per pochi centimetri da terra.

In estate si orna di un bel ciuffo bianco fiorito: da qui il nome popolare. Muschi, felci sigillo di Salomone maggiore e favagello denotano la grande umidità del suolo. Un tronco marcio ci dà l'esempio di come madre Natura sappia sfruttare ogni opportunità: muschio e licheni, edera, anemoni bianchi), viole e felci che sfruttano un piccolo prezioso habitat naturale. All'altezza di un faggio altissimo (presenza inusuale in questi boschi) che cresce sulla scarpata verso la Valle, si deve deviare a gomito su un sentierino (difficile da individuare) che porta in un parco abbandonato.

Il comodo sentierino si snoda in mezzo alla vegetazione lussureggiante e i resti di un muretto portano nel parco vero e proprio: un luogo ormai inselvatichito ma dove regna un'atmosfera magica. Un giovanissimo faggio cresce sul breve pendio a destra in compagnia di aceri, tassi, robinie, mentre davanti a noi già si profilano le sagome dei grandi alberi sul pianalto.

Al colmo della salita un vetusto bosso, non governato dai tagli che di solito lo modellano, sofferente nella chioma con rami penduli e radi di foglie che reclamano più luce, con le radici messe a nudo dal terreno scivolato verso valle, fa bella mostra dei suoi vetusti e robustissimi tronchi. E non è l'unico esemplare presente. Forse, al tempo dell'antico splendore del parco, formava una siepe o uno spazio racchiuso.

Si giunge sul pianalto dove le chiome di alberi giganteschi sembrano cresciute a dismisura per catturare la luce. I carpini, le querce, i pini silvestri, i tassi, sono cresciuti uno troppo vicino all'altro. Gli enormi tronchi abbattuti dalle intemperie giacciono al suolo. Le piante morte o marcescenti, siano esse ancora "in piedi" o ormai cadute a terra, rivestono un'estrema importanza faunistica all'interno del bosco in quanto rappresentano importanti siti di rifugio e nidificazione per numerose specie, ospitano importanti comunità di invertebrati che a loro volta sono fonte primaria di cibo e fungono da posatoio per Uccelli rapaci. Pertanto è da evitare il loro abbattimento a meno di verifiche di sicurezza per fruitori e/o passanti. Tosi G. e Zilio A., 2000. Progetto SIT-FAUNA

Il sottobosco, già ombreggiato, si fa ancor più scuro con centinaia di piantine di pungitopo. E tutto rende l'atmosfera misteriosa. Atmosfera che diventa improvvisamente magica quando ci si accorge della sua presenza: un carpino secolare, dal tronco nodoso e contorto, che a malapena riesce a catturare la luce se non fosse per quel lungo ramo proteso verso lo spazio aperto. Si comporta proprio come un vero patriarca, che riesce a vivere in uno spazio ormai angusto per lui, circondato e quasi imprigionato da altri alberi secolari.

Lasciando il carpino alle spalle, imbocchiamo il sentierino davanti a noi (sulla destra alcune canne di bambù che ci condurrà, tra due ali di vegetazione lussureggiante: aceri (anche molte giovani pianticelle), carpini, agrifoglio, pado, costeggiando un riparo per attrezzi, sulla strada asfaltata. Da qui, sbirciando fra i tronchi, si può vedere la valle sottostante e in fondo, proprio di fronte, la profonda incisione (quasi una forra), scavata dal torrente Marnetta.

Anche qui il sottobosco è ricco di sigillo di Salomone, celidonia, pervinca, anemoni bianchi, consolida. Si sbuca sulla strada asfaltata di Gornate Superiore e si torna all'imbocco della Valle riprendendo a destra il sentiero in discesa. Il colpo d'occhio sulle vallette sottostanti è incantevole, coi colori della primavera. Le diverse tonalità di verde negli alberi: scuro nei pini silvestri, chiari negli altri, indefiniti in quelli ancora spogli e col bianco dei ciliegi selvatici ancora in fiore.

Si scende fino al piano e si imbocca il sentierino a sinistra: sotto di noi scorre il Mornaga con le sue acque limpidissime e la lussureggiante vegetazione di felci varie felci e crescione d'acqua. In questo bosco sono presenti moltissimi carpini, assieme a robinie , querce, ontani neri, noccioli, sambuchi, fusaggine o berretta del prete e altri arbusti.

Arriviamo alla congiunzione dei torrenti: il Mornaga (che ha già raccolto le acque del torrente Bulgarella creato dalla risorgiva Rosetta nel pianalto) proveniente da sinistra ed il Marnetta proveniente da destra. In alcune zone ferme di queste limpide acque è facile osservare giovani salamandre. Si guada il torrente e si segue il sentiero. Indoviniamo il percorso del Mornaga a sinistra dalla sagoma degli ontani neri che crescono sulle sue sponde, ma proseguiamo verso il pianalto che vediamo di fronte.

Qualche anno fa era ancora visibile quel che restava della "giazzera", un ampio spazio delimitato da grossi sassi (memoria dello scavo che permetteva l'accumulo di acqua e la formazione di ghiaccio), riserva preziosa per un'epoca in cui i mezzi di refrigerazione ora comuni non esistevano ancora. Non sono riuscita a trovarla, forse sommersa dalla vegetazione del sottobosco o rovinata dalle visibili tracce di mezzi pesanti.

A destra del sentiero cresce un grande biancospino (poco comune da queste parti) nella sua splendida fioritura primaverile, una profusione di mazzolini di fiori bianchi non ancora del tutto dischiusi. II sentiero comincia ad inerpicarsi sul pendio e percorrerlo richiederà un po' di attenzione (era franato qualche anno fa ed ora si cammina sulla deviazione). Sulla scarpata crescono pino silvestre, enormi ciliegi selvatici, carpini, castagni, pino strobo, acero, noccioli, agrifogli, ginestre e purtroppo, anche pianticelle di invadente pado. Mentre le radici di alberi caduti sono messe a nudo dagli smottamenti causati dalle piogge.

Su un tronco lucido di pioggia e di umidità possiamo osservare muschi e licheni, che ci segnalano il nord. A destra del sentiero vegeta un faggio le cui radici, come una grossa mano, sembrano volersi aggrappare a tutti i costi al terreno. In mezzo al sentiero quello che ha tutta l'aria di essere stato un masso erratico, ora fessurato dagli immensurabili sbalzi di temperatura subiti nel tempo. Così possente nella forma e tanto generoso nell'offrire riparo a una pianticella di ciliegio selvatico che l'ha scelto come il principe delle fiabe Un agrifoglio pieno di fiori (dunque un esemplare femmina), segna la fine della salita e si apre davanti a noi, sulla sinistra, un grande pianoro, testimonianza dei vecchi coltivi a terrazzi. Al centro c'è un magnifico esemplare di pino silvestre, intorno se ne vedono altri, forse messi a segnare i vecchi confini. A destra la scarpata che da sulla Valle Bulgarella è ricca anch'essa di vegetazione: pini silvestri, aceri, ciliegi selvatici, carpini, pallon di maggio, ornielli, noccioli, sambuchi e ciliegio tardivo. Lasciamo il campo e ci portiamo sulla strada delle Madonne, che collega Gornate Olona a Caronno Corbellaro.

Una vecchia carrereccia a sinistra porta sui sentieri del pianalto. Proseguiamo sulla strada asfaltata ed raggiungiamo il torrente Bulgarella (che, creato dalla risorgiva Rosetta nel pianalto, passa sotto la strada, incide la Valle omonima e versa le sue acque nel Mornaga). Ne descriviamo un tratto di percorso, consigliato a persone abituate a camminare fuori dai tracciati e munite di scarponcini e pantaloni lunghi. All'inizio ci troviamo in una piccola conca tra due pendii alberati (perlopiù da carpino e pungitopo verso nord, da farnie e pini silvestri verso sud), dove il torrente scorre lento tra felci e crescione d'acqua, dando la possibilità alle giovani salamandre di ripararsi in piccole zone ferme.

La stretta valle del Bulgarella prosegue di fronte a noi e la vegetazione si fa lussureggiante: le fronde verdissime di molte felci, le foglie tonde dai margini appuntiti del farfaraccio in fiore, i muschi, l'acetosella dei boschi. Il torrente si è scavato un solco stretto tra i sedimenti che raccontano la storia del territorio e costringe a risalirlo guadandolo, facendo anche attenzione ai tronchi che ostacolano il comodo passaggio. Chi se ne importa dei piedi bagnati: è tutto talmente bello!

Si segue il percorso ondulato del torrente paragonando le piante di felci a delicate trine (il linguaggio è stucchevole, ma come si potrebbe altrimenti dare l'idea di fronde così perfette e sottili?). E quante sono, totalmente a loro agio in questo terreno completamente inzuppato d'acqua (come i miei scarponi).

Il torrente sale ancora e sulla destra si apre a sorpresa un pianoro incassato tra il ruscello e i leggeri pendii a sud e nord. In un tappeto di crescione d'acqua e felci (sembra quasi un piccolo stagno prosciugato) crescono altissimi ontani neri, così diversi da quelli che si vedono normalmente: tronchi quasi dritti e bitorzoluti, radi di rami che spuntano solo in alto, nelle chiome tese a cercare la luce. L'obiettivo era raggiungere la risorgiva Rosetta che lo crea ma, non conoscendo le distanze e non volendo ripetere il percorso a ritroso, preferisco rinunciare alla risalita fino alla sorgente. Lo sconsiglia anche il tempo che scorre inesorabile e costringe al ritorno arrancando sull'inerpicato pendio. A metà salita il tamburellare di un picchio rosso mi fa voltare di colpo.

Non avevo notato, sulla sponda opposta, un grande tronco di quercia scorticato a tratti e pieno di buchi. Peccato, il gran lavoratore non mi ha permesso di osservarlo all'opera! Sul pianoro è facile individuare la traccia del sentiero, solcato profondamente e rovinato dal passaggio di moto da motocross. Un gigantesco pino silvestre lo sovrasta con tutta la sua maestosità: un tronco poderoso che, a qualche metro da terra, si divide in due alberi protesi verso il cielo. O due alberi che si uniscono in un tronco solo? Il sentiero che scende nel bosco è perlopiù a carpino, con sottobosco molto asciutto e ancora ricoperto dalle coriacee foglie di questi alberi. Seguendolo, si torna sulla strada delle Madonne.

Riprendiamo l'itinerario interrotto e raggiungiamo il ponte della Valle Marnetta, come indicato dal cartello che riporta: "Toponimo documentato dalle mappe catastali di inizio XIX secolo. Il torrente omonimo raccoglie le acque di due piccole vallette: Valle di dietro alla Costa e Valle del Griano". A sinistra si può visitare il vecchio lavatoio ricostruito qualche anno fa. Il lavatoio di Caronno Corbellaro è situato poco fuori il piccolo borgo, nei pressi della confluenza del rio Griano, rio Costa e torrente Marnetta. Completamente ristrutturato ed inaugurato il 29 luglio 2006, vede la luce alla fine degli anni '20, edificato dalla Famiglia Parrocchetti per essere utilizzato dagli abitanti della frazione di Castiglione Olona che al tempo costituiva Comune di Caronno Corbellaro.

Il lavatoio è alimentato da una sorgente che confluisce un pozzo di raccolta; questo permette un apporto d'acqua limpida alle due vasche senza nessun artifizio di pompaggio. L'acqua che si riversa nel lavatoio è fredda ed ha una portata costante anche nei periodi di siccità. Ha i suoi estimatori, è molto apprezzata in tavola come oligominerale e possiede un buon sapore. Viene ricercata dai possessori di acquario. Fino agli anni 60, accanto all'uso dell'acqua potabile, il lavatoio era meta della "massaggia" che si recava a "fare il bucato". La struttura con il passare del tempo ha avuto alcuni danni dovuti anche alle alluvioni che si sono susseguite.

Nel 1993 la famiglia Parrocchetti ha concesso il sedime esistente la struttura, o meglio quel che ne rimaneva, con "Atto di Comodato" al Comune di Castiglione Olona, che ha deciso di sistemare l'edificio rendendolo funzionale. Dopo l'approvazione della Convenzione con l' Ente Scuola Edile della provincia di Varese, meglio conosciuta come S.P.E.V., venne approvato il progetto per la ricostruzione del lavatoio, realizzato dall' Architetto Giovanni Matternini. Sono stati proprio i giovani aspiranti Muratori, seguiti dagli Istruttori della Scuola Edile, che attraverso un "campo pratica" per la ricostruzione della fonte, gli hanno restituito, abbondando, i fasti di un tempo. Il lavatoio restaurato… …e la rigogliosa colonia di crescione d'acqua attorno alla sorgente (certamente pura) che sgorga dietro la prima vasca.

Tornati sulla strada, sostare brevemente per osservare dal parapetto la profonda forra scavata dal torrente Marnetta che, poco più avanti, precipita nella Valle Mornaga sottostante. Sulle pareti si notano, ricoperti di felci, gli affioramenti di gonfolite e ghiaie cementate di antichissima origine formatesi milioni di anni fa, quando la zona era una costa marina e i corsi d'acqua riversavano a mare i detriti provenienti dai monti retrostanti.

Pochi passi e si giunge in Piazza Santa Croce, nel vecchio nucleo della frazione di Caronno Corbellaro, un piccolo centro agricolo frazione di Castiglione Olona (comune censuario fino al 1926). Anche qui, come in tutta la zona, si coltivavano fieno, lino, frumento, mais e si allevava il baco da seta. Fino al 1925, le infaticabili donne di Corbellaro si recavano a piedi fino a Como (dove la seta si produceva), portando sulle spalle le gerle piene della preziosa merce. (Giovanni Meneguzzo) Nel grande piazzale sorgono la Chiesa di Santa Croce e l'Agriturismo Cereda dove si trovava un ex convento di Monache Agostiniane, edificato probabilmente sopra una vecchia torre di avvistamento romana.

Chiesa Santa Croce (già S.Giustina) citata già nel XIII secolo (Fonte Parrocchia Gornate Superiore) Citata nei documenti del XII sec. da Goffredo da Bussero con il nominativo di S. Fermo e S. Giustina, era posta lungo l'itinerario della pedemontana. La piccola chiesa è stata più volte restaurata nel corso dei secoli, arrivando ai giorni nostri con nuovi interventi di manutenzione. Sulle pareti sud e ovest del campanile dell'Oratorio del Crocefisso sono stati restaurati i due quadranti delle meridiane risalenti alla prima metà dell'800.

A ovest la scritta "Sól tibi sígna dabit" (Il sole ti darà i segni) Virgilio nelle Georgiche Dénique, quíd Vespér serús vehat, únde serénas véntus agát nubés, quid cógitet úmidus Áuster, sól tibi sígna dabít. – a sud "Aspiciendo senescis" (Mentre guardi invecchi).

Dopo la Chiesa girare a sinistra e poi a destra sulla stradina sterrata. Da qui si raggiunge la piccola altura con cipressi e platani che fanno da atrio naturale al vecchio Cimitero con la Chiesetta di San Martino. Sconosciuto fino a pochi anni fa e impoverito da furti di statue e intonaci che ne raccontavano la storia, resta un luogo molto suggestivo. Alle spalle del cimitero si apre un immenso pianoro, una delle più belle terrazze naturali della Valle Olona, ancora verde dei campi coltivati e con una incomparabile vista sulle montagne circostanti che fanno da corona al paesaggio.

Si segue la strada sterrata a sinistra e si sosta brevemente per ammirare la folta e immensa chioma della farnia che, solitaria, veglia sul pianoro. Sta lì a ricordare quanta gente abbia cercato un po' di fresco, alla sua benevola ombra, nelle pause dal faticoso lavoro dei campi.

Si arriva alla Chiesa di San Nazaro, citata già nel "Liber Sanctorum" di Goffredo da Bussero alla fine del Duecento, un edificio ad aula unica con abside semicircolare e muratura in ciottoli di fiume legati con malta. Molto probabilmente la chiesa subì dei crolli già nel XVI secolo, seguiti da abbandono e incuria fino a qualche anno fa, quando è stata restaurata. Il progetto si è fondato sulle tracce costruttive presenti ed ha proposto la reintegrazione riconoscibile delle murature, conclusa con una copertura a capanna dell'aula e a mezzo cono per l'abside. Le strutture murarie integrative sono state realizzate con spessore ridotto rispetto allo spessore delle murature in ciottoli esistenti per essere immediatamente riconoscibili.

Si riprende la strada sterrata che procede verso Morazzone e si imbocca quella a sinistra che torna a Caronno Corbellaro. Nell'abitato, invece di tornare in piazza Santa Croce, si prosegue diritto e si imbocca il sentiero che porta alla Sede degli Arcieri. Fermatevi a osservare un affioramento di gonfolite, che porta scritto un pezzo di storia geologica di questo territorio. Conglomerato molto favorevole alla crescita di numerose felci non comuni Il sentiero, abbastanza ripido, costeggia il torrente Scerissa che forma la Valle omonima e che verserà a Valle le sue acque nel torrente Mornaga.

In questo breve profondo tratto, le sue acque hanno creato un'altra piccola meraviglia scavando una profonda incisione sulla roccia viva: una marmitta dei giganti in miniatura! Balzella poi su grandi massi (quelli rosa mi sembrano provenire da altre zone: se fossero autoctoni, dovremmo vederci crescere la felce florida) e, di saltello in saltello, scorrendo tra le pareti di gonfolite, va ad immettersi nel torrente Mornaga.

Nel vasto pianoro, dove sorge la sede degli Arcieri, termina il nostro itinerario. Alzando lo sguardo verso sud si possono vedere le sagome degli alberi nel parco abbandonato visitato all'inizio del percorso: abbiamo percorso un lungo, lunghissimo anello.

a cura di Giuliana Amicucci Dal Piaz

foto di Marino Bianchi, Giuseppe Goglio

 

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